L a S t o r i a

Gioacchino a Corazzo

La storia di Gioacchino a Corazzo ebbe inizio nel 1171.

Secondo il racconto di Luca Campano, suo maggior biografo, mentre ritornava dal suo eremitaggio sul Tabor e in Terra Santa, percorreva la via tracciata dal Corace per raggiungere la natale Celico. Lungo il fiume, a poca distanza dalle mura dell’abbazia incontrò un "Nobile Monaco" che gli commentò la parabola dei talenti accendendogli il forte desiderio di vestire il saio. Gioacchino rimase affascinato dalle parole del monaco e dalle pietre di Corazzo, tanto che, pur continuando il suo cammino verso nord, quell’abbazia penetrò nel suo cuore. Durante la sua permanenza alla Sambucina e durante le sue predicazioni successive, anelò sempre di poter entrare a Corazzo. Visitò l’abbazia e ne conobbe l’abate: Colombano, che lo prese subito sotto la sua protezione, cosi che le sue visite si fecero sempre più intense. Gioacchino fu ordinato sacerdote dal vescovo di Catanzaro Giovanni. Non è precisabile la data di tale evento, né appare di facile lettura come fosse proprio quel vescovo visto che Corazzo si trovava in diocesi di Martirano e la Sambucina in quella di Cosenza. Forse l’ordinazione di Gioacchino avvenne proprio a Catanzaro durante qualcuno dei suoi innumerevoli viaggi. Alla morte dell’abate coracense Colombano, avvenuta nel 1176, egli fu nominato, nel 1177, nuovo abate dell’abbazia di Corazzo. Gioacchino divise i suoi impegni di abate tra viaggi per tutelare l’amministrazione dell’abbazia e per approfondire la sua vocazione di esegeta e di studioso. Si recò inizialmente a Palermo da Guglielmo II da cui ebbe vaste concessioni di terre che permisero all’abbazia di Corazzo di estendere notevolmente i suoi possedimenti e le sue ricchezze. Ma fu il silenzio della valle del Corace che stimolò le sue solitarie riflessioni per strappare alle scritture il loro segreto, meditazioni profonde che trovarono in una esperienza puramente intuitiva e visionaria il proprio fondamento e le proprie ragioni. Ma fu dal silenzio della valle del Corace che scaturì come un fuoco il suo spirito immenso che pervase i secoli e le coscienze, che intrise di sé gran parte del pensiero dei secoli a venire. Tracce e segni giochimiti sono visibili in Francesco d’Assisi, Dante Alighieri, William Yeats, Michel de Montaigne, George Sand, James Joice, e addirittura nell’ "Idealismo" filosofico di Hegel e Schelling e nel Materialismo di Marx. Così si recò a Casamari per approfondire i propri studi e per avere l’autorizzazione a scrivere dal pontefice Lucio III. Questo lasciò scritto Luca Campano in occasione della visita di Gioacchino a Casamari: Io Luca, Arcivescovo di Cosenza, nell’anno II del Pontificato di Lucio, quando ero monaco vidi per la prima volta in Casamari un uomo chiamato Gioacchino abate di Corazzo, figlia di Sambucina, figlia di Casamari, per la qual ragione ogni onore e gloria come un nipote ebbe in Casamari, ma soprattutto per il dono di sapienza e di intelligenza ricevuto dal Signore. Allora, dinnanzi al Papa e alla sua corte, egli cominciò subito a rivelare la sua preparazione nelle scritture e la sua bravura nel far concordare il nuovo con il vecchio Testamento, ricevette il permesso di scrivere e iniziò subito... A Corazzo dettava a tre amanuensi contemporaneamente: Nicola, Giovanni e Luca, le sue tre opere maggiori: "Expositio in Apocalipsym" , "Liber Concordiae novi ac veteris Testamenti", "Psalterium decem Chordarum". A Corazzo nascevano i tre plessi cardinali del pensiero gioachimita: la teoria ermeneutica, la dottrina trinitaria, l’interpretazione della storia. La teoria della concordia dei due testamenti e dei tre stati è così radicata nelle relazioni delle persone della Trinità che anche la storia ne risente nella scansione dei "tempora" e delle "aetates" incontrandosi in una triangolazione dove nessuno dei vertici può fare a meno degli altri. Gioacchino infuse la storia di trinità: età del Padre, del figlio e dello spirito santo, Dio uno e trino scendeva nei processi umani: l’opera di Gioacchino appare quindi come un’imponente teologia della storia. Ma dentro l’abbazia di Corazzo Gioacchino doveva occuparsi anche di amministrazione, di conti e, spesso, doveva dirimere liti che i monaci intentavano per questioni di confine con altri monasteri o con baroni e proprietari. A lungo andare, per un’ansia di libertà, per seguire la sua autentica vocazione, cominciò a pensare di lasciare Corazzo. Con il fido monaco Raniero di Ponza, nel 1187 s’incamminò verso l’aspro massiccio della Sila scrivendo la fine dei suoi rapporti con quell’abbazia. In realtà i suoi rapporti con Corazzo non finirono: si capovolsero! Egli fu considerato per lungo tempo dai Cistercensi di Corazzo un traditore e un fuggitivo. Solo al momento della sua morte, nel monastero di san Martino di Canale a Pietrafitta, il 30 Marzo 1202, al suo capezzale, assieme agli abati di Sambucina e di Santo Spirito di Palermo, pregava anche l’abate di Corazzo.

 

 

 

          CASTAGNA   


Il villaggio Castagna fu il primo insediamento abitativo favorito dalla presenza dell’abbazia di Corazzo. Esso si sviluppò inizialmente lungo le rive del Corace ove vennero innalzate le prime capanne dai pastori e dai contadini che dipendevano dall'abbazia. Col tempo l’iniziale centro abitato si trasferì sulle pendici della collina che rappresentava l’estrema propaggine di monte Comunelli e che venne terrazzata per favorire le colture, proprio a ridosso di una strada chiamata "Via della Marella" che altro non era che la strada che da Corazzo s’inerpicava verso i boschi della Sila. Ma essendo l’esposizione geografica diretta a Nord, poco tempo dopo gli abitanti si trasferirono sul versante meridionale: " La trempa della castagna". Il suo nome deriva dalla leggenda secondo cui alcuni giovani porcai del primitivo villaggio in una notte di tempesta trovarono rifugio nell’enorme tronco cavo di un castagno attorno al quale vennero poi edificate le prime abitazioni. Il luogo era ricco di querce e castagni e dei loro frutti, quindi adatto all’allevamento dei maiali, fonte prima di sopravvivenza. Era, inoltre, tiepido e soleggiato. Agli albori del XIII secolo, l’Imperatrice Costanza D’Altavilla, moglie di Enrico VI, confermò all’abbazia di Corazzo le "Grazie" concesse prima di lei da Guglielmo II, specificando che di tali privilegi avrebbero dovuto godere anche i "Vasallos" di Scigliano che vivevano attorno a Corazzo: in sostanza i primi "Castagnesi"! Piano piano il villaggio crebbe e si popolò e i rapporti privilegiati con l’abbazia di Corazzo permisero una notevole crescita economica tanto che, già negli elenchi fiscali di Val di Crati dei "Registri Angioini" del 1276, in base alle gabelle previste venne calcolata la sua popolazione e quella delle campagne che attorno ad essa orbitavano: 963!. Nella seconda metà del XVI secolo fu eretta la chiesa per volere del vescovo di Martirano Mariano Pierbenedetto e che, prima nella zona, divenne parrocchia nel 1612 sotto il vescovo Francesco Monaco che la consacrò allo Spirito Santo a memoria dell’ ideologia di Gioacchino, abate a Corazzo per dieci anni. La chiesa di Castagna fu centro d’aggregazione, non solo religiosa, per i numerosi insediamenti abitativi sparsi nelle campagne intorno, anche per i due agglomerati relativamente più estesi della zona : Murachi e Panettieri. Il legame fortissimo e ancestrale che Castagna conservava con l’abbazia di Corazzo portò, dopo il devastante terremoto del 1638, ad un impegno diretto della popolazione dell’antico villaggio per la ricostruzione delle mura e degli edifici e di una volontaria tassazione a favore dei monaci. Nel 1705 fu permessa, anche grazie alla disponibilità del curato di Castagna che accolse le richieste dei fedeli di Panettieri che si lamentavano di incontrare troppe difficoltà, specie d’inverno, a recarsi nella chiesa di Castagna, la nascita della parrocchia a Panettieri, per opera di Monsignor Richetti che il 20 Ottobre di quell’anno la conferì al sacerdote D. Francesco Bruni. Castagna per secoli condivise con questo paese il parroco: tradizione fortissima che anche oggi resiste! Castagna, dopo lo sfaldamento del feudo di Scigliano subì varie traversie amministrative. Nel 1811 fu aggregata a Colosimi e nel 1815 a Soveria Mannelli. Con regio decreto nr. 1135 del Settembre 1832 Castagna fu elevata a "Comune" con l’assegnazione della frazione Colla. Il primo sindaco fu Antonio Arcuri che dovette affrontare la spinosa questione delle terre di Corazzo sulle quali Castagna aveva già veduto il riconoscimento dei propri diritti da un’ordinanza di Gioacchino Murat del 1814. Castagna all’epoca contava milletrecento abitanti e in base a ciò ebbe una quota di terreni pari a cinquecento trenta ducati così suddivisi: fondo Granino, fondo Staglicello, fondo Prunillo, fondo Lettuso. Anche Castagna, nel periodo risorgimentale ebbe personaggi di rilievo storico, ideologico e militare. Il più famoso fu Raffaele Piccoli, nato da Bernardo e Maria Antonia Piccoli nel 1819. Egli partecipò a tutti i moti rivoluzionari della Calabria e dell’Italia: dalle rivolte del 1848 alla spedizione dei Mille, Dalla difesa di Roma alla disperata rivolta di Filadelfia del 1870. Alle delusioni e alle amarezze provocate cinicamente dai governi sabaudi, preferì la morte in una notte d’Agosto del 1880 suicidandosi. In effetti le politiche piemontesi non servirono a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni meridionali già stremate e spremite dai Borboni. A testimonianza di ciò basti pensare che fino al 1861, anno dell’Unità, la popolazione di Castagna cresceva sistematicamente, dopo iniziò a diminuire, come in tutti i paesi vicini! Si sviluppò così, anche a Castagna il fenomeno del "Brigantaggio" con la presenza di numerosi fuorilegge che battevano le campagne e vivevano nei boschi. La più nota banda di Castagna era capeggiata da Angelo De Fazio e "ospitava" spesso fuorilegge di san Pietro Apostolo e Serrastretta. A Castagna furono due brigantesse: Rosangela Mazza, le cui gesta furono narrate da Palmira Scalise nel racconto " La Brigantessa" del 1961, e Generosa Cardamone, "Druda" del feroce Pietro Bianco e arrestata assieme a lui a Colla il 15 Marzo 1867, ma poi, liberata dalla galera dopo tre anni di detenzione, tornò a Castagna e si sposò. I briganti furono quasi tutti uccisi nelle campagne e con inganni e tradimenti: questo scrisse Carlo Levi: " Le guerre brigantesche furono combattute senza speranze e senza arte, guerre infelici e destinate sempre ad essere perdute, ma sorte da una volontà elementare di giustizia che nasceva dal nero lago del cuore!" L’episodio più crudo che i militari sabaudi perpetrarono contro i briganti di Castagna avvenne all’ingresso di una grotta in un luogo chiamato ancor oggi "Ponte dei Briganti": i fuorilegge, traditi, furono stanati dalla grotta con il fuoco e, mentre i loro occhi lacrimavano, furono ammazzati a bastonate dai prodi soldati del re piemontese! Ma il più astuto brigante di Castagna si chiamava Pasquale De Fazio detto "Cerino". Feroce e imprendibile, ebbe una struggente storia d’amore con una donna di Castagna, e grazie a lei riuscì a morire in libertà il 4 Marzo 1910 come "Eremita". Nel 1869, dopo oscure manovre burocratiche ed economiche dei comuni vicini: Carlopoli e Soveria Mannelli, per decreto dell’amministrazione provinciale di Catanzaro, il comune di Castagna fu aggregato a Carlopoli e il suo antico e vasto territorio venne spaccato e diviso proprio tra Carlopoli e Soveria Mannelli. Le cause vere di questo accadimento vanno, a mio avviso, ricercate nelle condizioni economiche del paese, fortemente critiche per l’insolvenza di molti proprietari che non pagavano le tasse dovute, nella realtà sociale fortemente influenzata dal brigantaggio e nella leggerezza delle autorità comunali che non compresero la gravità del momento pur di conservare un posto negli organigrammi del nuovo comune. I Sindaci di Castagna furono: Antonio Arcuri (1833-1834), Ferdinando Scalzo (1834-1835), Filippo Scalzo (1836-1839), Giuseppe Guzzi (1840-1841), Bruno De Fazio (1842-1844), Nicola Guzzi (1845), Giuseppe Scalise (1846-1848), Annibale Graziano (1848-1851), Francesco Guzzo (1852-1854), Nicola Guzzo (1855-1857), Antonio Melino (1858-1859), Paolo Le Porte (1860-1864), Eugenio Sacchi (1865-1869). Oggi è un ridente paesino che dal colle sembra guardare le rovine di Corazzo dipinte nella valle sottostante, ma non ha nostalgia del passato, anzi tende a proiettarsi nel futuro, pur nelle semplici condizioni di vita dei suoi abitanti.

Salvatore Piccoli

 

 

 

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