Don Paolo Aiello

Nato a Carlopoli nel 1892
da il lametino.it
https://www.lametino.it/Ultimora/ricordo-di-don-paolo-aiello-nel-ventennale-della-morte-il-2-dicembre-a-catanzaro.html


Catanzaro - “Ricordo di don Paolo Aiello nel ventennale della morte”: è questo il tema dell’incontro che si terrà alle 18 del 2 dicembre nella sede del Circolo di Catanzaro, organizzato dalla Sezione Consolidal di Catanzaro assieme al Circolo di Catanzaro 1871 ed alla Sezione di Catanzaro della Fidapa, per ricordare la figura, il pensiero e le opere di don Paolo Aiello, sacerdote della diocesi di Catanzaro, nato a Carlopoli in provincia di Catanzaro. Interverranno S.E. Mons. Antonio Cantisani, don Vitaliano Smorfa, Rosario Chiriano e Domenico Maiolo.


da soverato web

Don Paolo, fu un uomo di acuta sensibilità, un sacerdote di un grande spessore culturale e umano, teologo e filosofo di una profonda preparazione; uno spirito libero e inquieto che parlava senza remore e senza riserve, scuotendo le coscienze e criticando duramente, ove il caso, i governanti. Per questo suo libero pensiero che esternava nelle omelie domenicali nella Basilica dell’Immacolata e nei suoi scritti, fu spesso osteggiato dalla stessa Curia e dalle autorità vaticane, rischiando la sospensione. Muore quasi povero il 26 settembre 1996. Rileggendo i suoi scritti troviamo tante anticipazioni delle aperture che oggi Papa Francesco sta portando avanti. Riusciva a tradurre i Vangeli dall’aramaico, dal greco, dal latino; conobbe personalmente tanti teologi e filosofi di tutto il mondo come Hans Kung e Leonardo Boff.

Egli predicava l’amore e la ricerca di Cristo, perché ogni uomo resta sempre il simbolo di Cristo, che come Lui, un giorno, potrà dalla sofferenza e dalla passione arrivare in egual modo alla sua Resurrezione ed alla sua Vita eterna.Don Paolo Aiello, con le sue omelie, con i suoi scritti, ha insegnato che Cristo non si raggiunge con le forme esteriori ma con la ricerca, anzi con l’umile ricerca giornaliera, che deve alimentare in noi la speranza di poterlo efficacemente ritrovare senza cadere nella delusione e senza lasciarsi convincere dell’inesistenza della Sua presenza. Ovunque cercò di sensibilizzare gli animi nella scoperta dell’uomo nuovo, mettendo Gesù Cristo al primo posto nella vita di ogni essere umano. Spesso poneva interrogativi affidando la risposta a chi ascoltava per stimolare gli animi al risveglio in una nuova realtà: il Regno dei cieli.
Siete tutti invitati a questo evento per ricordare e conoscere questo sacerdote, quest’uomo che ci ha tanto insegnato, anche se all’epoca non apprezzato da tanti, e che ancora tanti insegnamenti può darci. 

da bagheria news

https://www.bagherianews.com/rubriche/storia-locale-personaggi/15498-paolo-aiello-q-u-siddunaruq.html

Primo di nove fratelli Paolo Aiello, “u siddunaru”, era nato nel 1892: il padre Angelo si occupava di trasporti con carretti e gestiva una taverna. Intelligenza pronta e arguta, abile affabulatore, non aveva però avuto la possibilità, pur avendo condizioni di vita dignitose, di proseguire negli studi.

Aveva pertanto la preparazione culturale di un autodidatta: leggeva di tutto e su tutto.
Conserverà però sempre, sino alla maturità inoltrata, una innata e spiccata curiosità intellettuale che lo porterà proprio negli anni del fascismo a “scoprire” e “diffondere” clandestinamente alcuni testi politici da Labriola a Gramsci, al Manifesto del partito Comunista di Carlo Marx.


La sua attività artigiana , realizzare in cuoio i finimenti degli animali da tiro, era un tempo estremamente diffusa. Il termine “ u siddunaru”, viene appunto da “siddunu”, che era la sella degli animali da tiro, e che sistemato in groppa al quadrupede e agganciato alle “aste” del carretto tramite dei “crocchi”, aveva due prolungamenti laterali in cuoio larghi circa 7 cm che si completavano posteriormente con la “curiera “ (codiera), che avvolgeva l’animale intorno alle parte alta dei fianchi, e che serviva come appoggio dell’animale nelle andature in discesa.
C’era poi la “testiera” che nella parte del “morso” si prolungava con le redini, sempre in cuoio, che attraverso due anelli fissati sul “sidduni” , arrivavano al conducente consentendogli di orientare la marcia.
Ed ancora “ u pitturali” (il pettorale), anche questo in cuoio, che avvolgeva il petto dell’animale, e su cui si esercitava la spinta in avanti, e che tramite delle catene ad esso collegate teneva la bestia agganciata al carro. “U suttapanza” (il sottopancia), striscia in cuoio larga una decina di cm. e robusta, che avvolgeva appunto l’animale sotto la pancia e lo rendeva “solidale” al carretto, completava la serie dei finimenti. Spesso questi finimenti venivano realizzati su misura, quindi era continuo il viavai di carrettieri e clienti dalla bottega di Paolo Aiello.

La sera si riunivano nel suo laboratorio, in modo semiclandestino, Ignazio Buttitta, Renato Guttuso sin quando quest’ultimo rimase a Bagheria, Peppino Speciale, Totò Garajo, Tanino Scaduto, Gino Lo Giudice, Peppino Pellitteri, oltre che qualche bracciante e qualche picconiere.
La sua bottega artigiana ubicata nella salita della vecchia posta dello “stratonello” diventerà una sorta di circolo politico-culturale, o di scuola politica in cui si legge , si commenta, si sogna il “sol dell’avvenire”.
Presso quella bottega crebbero e si formarono generazioni di comunisti che attinsero alla cultura popolare e alla passione politica di Paolo Aiello energia e linfa per costruire il movimento per il riscatto dei lavoratori.

Scrisse, verso la fine dei suoi anni, un libro su Bagheria dal titolo “Bagheria, popolo, lavoro, canzoni antiche”.
Ed è nella premessa al volume, nella missiva a Renato Guttuso, che incontriamo il felice presagio, veramente straordinario , se pensiamo che fu formulato venti anni prima che Peppuccio Tornatore ottenesse il riconoscimento dell’Oscar.
Il ragazzo della terza di cui si parla, infatti è proprio lui, Peppuccio Tornatore; Paolo Aiello veniva a mancare nel 1976, qualche mese prima che il Partito Comunista che in quell’anno alle elezioni politiche aveva ottenuto un successo straordinario , entrasse di fatto nell’area di governo, e in qualche modo coronasse un sogno.da decenni coltivato.

   
  da antonio lombardi blog spot https://antoniolombardiservodidio.blogspot.com/2013/05/14-lettera-testimonianza-di-don-paolo.html
 
LETTERA-TESTIMONIANZA DI DON PAOLO AIELLO SU ANTONIO
Eccellenza Rev.ma, Le chiedo, innanzitutto, scuse vivissime per la mia mancata risposta alle sue calde e insistenti richieste di notizie intorno al Sac. Padre Caruso Francesco. Le posso attestare che Egli fu mio confessore e direttore spirituale, maestro sicuro, carico di esperienza ascetica e mistica, quotidianamente provato e saggiato dallo “stimulus” paolino; uomo, costantemente comprensivo dei limiti e delle cedevolezze umani, fiducioso nell’inesauribile capacità di ripresa dell’adolescente e del giovine. Non gli sfuggiva né lo sviluppo delle passioni, né il gioco degli istinti, né la voce e l’espressione dei sensi: verso il mondo istintivo aveva comprensione serena e positiva, mai indulgenza che confondesse la linea demarcante tra bene e male. Il “si si”, il “no no” evangelico non gli impediva l’intelligenza delle innumerevoli posizioni intermedie, nel cui ballottaggio si svolge l’animo dell’uomo. Posso dire che devo a lui il mio sacerdozio; non sarei sacerdote, oggi, senza la guida di lui; nel 1938, a chiusura d’anno scolastico, concludendosi per me il corso liceale al seminario regionale Pio XI di Reggio Calabria, sfociai nell’ateismo, perché subii il fascino della filosofia gentiliana. Mi convinsi, a mio modo, che Dio non esistesse, o per lo meno che Dio non fosse come lo poneva la concezione cattolica. Si aggiunga la debole, impari difesa di Dio del testo e del professore del tempo, di fronte alle audaci posizioni suasive dell’attualismo di Giovanni Gentile e dello storicismo assoluto di B. Croce, e allora si comprende come io, per errore di prospettazione e di centralizzazione del problema di Dio, mi allontanai dal Dio cattolicamente inteso e debolmente “presentato” dall’insegnamento, fatto facilonisticamente, cioè senza neppur l’ombra dell’avvertenza di un necessario apparato critico. All’insegnante del tempo, se non mancò la volontà di difesa di Dio, filosoficamente, venne meno l’esigenza dello studio critico. Pertanto, fui espulso dal seminario, come ateo, dal Rettore P. Pedàce, gesuita, d’accordo e d’intesa con l’arcivescovo Mons. Giovanni Fiorentini. Prima dell’espulsione, per due mesi fui isolato per non turbare la serenità spirituale dei miei compagni, la maggior parte personalmente impegnata nel dubbio di Dio, e stetti solo in una stanza, senza vivere più la vita di camerata. Il mio padre spirituale, venuto a conoscenza della mia crisi, stette muto in un atteggiamento di silenzio rispettosissimo delle mie nuove posizioni. Mi raccomandò solo “sincerità con me stesso ed onestà intellettuale nell’indagine”. Non tornando più in seminario, mantenni con lui un carteggio epistolare che è andato smarrito. Ascoltando le voci dell’orgoglio, non scrissi più e chiesi, a titolo di curiosità, di avere dei colloqui, che divennero frequenti, con il Rettore del “Pio X” Padre Iollain, polacco. Conobbi, poi, il filosofo convertito, Antonio Lombardi, autore di poderosi libri, autorevoli nel campo della speculazione. Riammesso al seminario regionale di Catanzaro per il corso teologico, dopo il permesso chiesto ed ottenuto dal Dicastero competente di Roma, in via delicata e cauta, fui continuamente seguito dal filosofo Lombardi e dal padre Caruso, che in giorni diversi avevano la bontà di salire dalla città per venirmi a trovare. Dopo l’incendio che distrusse totalmente il Seminario, passai di nuovo al Regionale di Reggio: qui si fecero più rade le occasioni di dialogo con il mio padre spirituale, Caruso, ma vennero supplite dai colloqui con l’Arcivescovo Enrico Montalbetti, mio secondo direttore spirituale. Non avvertii nessun brusco passaggio, perché, seppur in forma diversa, sostanzialmente la linea Caruso collimava con quella del sullodato Arcivescovo di santa memoria. Presi messa il 13 giugno 1943, domenica di pentecoste. Era presente padre Caruso, che, subito dopo la mia ordinazione, mi presentò alcune signore dell’ “Opus Vocationum”, sconosciute anime apostoliche, impegnate nella silenziosa opera soccorritrice delle vocazioni dei giovani economicamente disagiati. Continuai, dopo, da sacerdote a confessarmi con lui. Andavamo a trovarlo, dopo la guerra, all’Istituto delle Ancelle del buon pastore, nella solitaria dimora dell’altipiano di Pontepiccolo, col filosofo Lombardi ed altri amici (questi ultimi, pochi, ma inquieti e incerti spiritualmente). Non si andava per fargli visita, ma perché se ne aveva bisogno: e vi si andava singolarmente e privatamente, spinti ognuno dai propri bisogni dell’anima. Ricordo che una volta - io già sacerdote - Padre Caruso mi chiese di ascoltare la sua confessione. Ma io mi rifiutai decisamente, diventando rosso e pallido. Ma egli insistette persuadendomi che io, rifiutando, indulgevo all’orgoglio. E così ascoltai la confessione di lui: mi sentii confuso, ma ebbi la fortuna di sapere come vivono davvero gli uomini degni e santi: ne tornai rifatto. Credo che uno dei tanti mezzi, rari, per essere meno cattivo sia quello di confessare un “santo”. Inchiodato al confessionale, egli recuperava a Cristo ora la mente ora il cuore, ora il sentimento, ora la fiducia. Sebbene cagionevole di salute, tuttavia non faceva pesare ad alcuno i suoi malesseri che non gli lasciavano mai un momento di quiete o di pausa. Devo a lui la mia sanità fisica del mio organismo, perché con denaro suo e con le maniere più belle mi forniva i più indicati rimedi terapeutici, come i fermenti lattici , altri ricostituenti ecc…..  È impossibile dire della sua preoccupazione della salute del corpo e dell’anima dei suoi diretti spirituali.  Come dimenticare la sua presenza, dopo pranzo, in mezzo a noi ginnasiali!... Ricordo ancora benino il gioco degli scacchi, imparato da lui; nelle varie perdite, nei vari movimenti, nelle vittorie intercalava un’idea, un’alta idea di bene, così, giocando. Oggi non gioco più a scacchi o ai birilli: non c’è più lui. Quanto sarebbe bello giocare, specie coi santi. Io chiedo scusa e perdono. Mi creda, dev.mo Sacerdote penitenziere.
Catanzaro, 28 novembre196
P.S. Ci sono molte altre cose. Ma chi ha il tempo! Me le porterò con me nell’aldilà!
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