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Secondo il racconto di Luca Campano, suo maggior
biografo, mentre ritornava dal suo eremitaggio sul Tabor e in Terra Santa,
percorreva la via tracciata dal Corace per raggiungere la natale Celico.
Lungo il fiume, a poca distanza dalle mura dell’abbazia incontrò un "Nobile
Monaco" che gli commentò la parabola dei talenti accendendogli il forte
desiderio di vestire il saio. Gioacchino rimase affascinato dalle parole del
monaco e dalle pietre di Corazzo, tanto che, pur continuando il suo cammino
verso nord, quell’abbazia penetrò nel suo cuore. Durante la sua permanenza
alla Sambucina e durante le sue predicazioni successive, anelò sempre di
poter entrare a Corazzo. Visitò l’abbazia e ne conobbe l’abate: Colombano,
che lo prese subito sotto la sua protezione, cosi che le sue visite si
fecero sempre più intense. Gioacchino fu ordinato sacerdote dal vescovo di
Catanzaro Giovanni. Non è precisabile la data di tale evento, né appare di
facile lettura come fosse proprio quel vescovo visto che Corazzo si trovava
in diocesi di Martirano e la Sambucina in quella di Cosenza. Forse
l’ordinazione di Gioacchino avvenne proprio a Catanzaro durante qualcuno dei
suoi innumerevoli viaggi. Alla morte dell’abate coracense Colombano,
avvenuta nel 1176, egli fu nominato, nel 1177, nuovo abate dell’abbazia di
Corazzo. Gioacchino divise i suoi impegni di abate tra viaggi per tutelare
l’amministrazione dell’abbazia e per approfondire la sua vocazione di
esegeta e di studioso. Si recò inizialmente a Palermo da Guglielmo II da cui
ebbe vaste concessioni di terre che permisero all’abbazia di Corazzo di
estendere notevolmente i suoi possedimenti e le sue ricchezze. Ma fu il
silenzio della valle del Corace che stimolò le sue solitarie riflessioni per
strappare alle scritture il loro segreto, meditazioni profonde che trovarono
in una esperienza puramente intuitiva e visionaria il proprio fondamento e
le proprie ragioni. Ma fu dal silenzio della valle del Corace che scaturì
come un fuoco il suo spirito immenso che pervase i secoli e le coscienze,
che intrise di sé gran parte del pensiero dei secoli a venire. Tracce e
segni giochimiti sono visibili in Francesco d’Assisi, Dante Alighieri,
William Yeats, Michel de Montaigne, George Sand, James Joice, e addirittura
nell’ "Idealismo" filosofico di Hegel e Schelling e nel Materialismo di Marx.
Così si recò a Casamari per approfondire i propri studi e per avere
l’autorizzazione a scrivere dal pontefice Lucio III. Questo lasciò scritto
Luca Campano in occasione della visita di Gioacchino a Casamari: Io Luca,
Arcivescovo di Cosenza, nell’anno II del Pontificato di Lucio, quando ero
monaco vidi per la prima volta in Casamari un uomo chiamato Gioacchino abate
di Corazzo, figlia di Sambucina, figlia di Casamari, per la qual ragione
ogni onore e gloria come un nipote ebbe in Casamari, ma soprattutto per il
dono di sapienza e di intelligenza ricevuto dal Signore. Allora, dinnanzi al
Papa e alla sua corte, egli cominciò subito a rivelare la sua preparazione
nelle scritture e la sua bravura nel far concordare il nuovo con il vecchio
Testamento, ricevette il permesso di scrivere e iniziò subito... A
Corazzo dettava a tre amanuensi contemporaneamente: Nicola, Giovanni e Luca,
le sue tre opere maggiori: "Expositio in Apocalipsym" , "Liber Concordiae
novi ac veteris Testamenti", "Psalterium decem Chordarum". A Corazzo
nascevano i tre plessi cardinali del pensiero gioachimita: la teoria
ermeneutica, la dottrina trinitaria, l’interpretazione della storia. La
teoria della concordia dei due testamenti e dei tre stati è così radicata
nelle relazioni delle persone della Trinità che anche la storia ne risente
nella scansione dei "tempora" e delle "aetates" incontrandosi in una
triangolazione dove nessuno dei vertici può fare a meno degli altri.
Gioacchino infuse la storia di trinità: età del Padre, del figlio e dello
spirito santo, Dio uno e trino scendeva nei processi umani: l’opera di
Gioacchino appare quindi come un’imponente teologia della storia. Ma dentro
l’abbazia di Corazzo Gioacchino doveva occuparsi anche di amministrazione,
di conti e, spesso, doveva dirimere liti che i monaci intentavano per
questioni di confine con altri monasteri o con baroni e proprietari. A lungo
andare, per un’ansia di libertà, per seguire la sua autentica vocazione,
cominciò a pensare di lasciare Corazzo. Con il fido monaco Raniero di Ponza,
nel 1187 s’incamminò verso l’aspro massiccio della Sila scrivendo la fine
dei suoi rapporti con quell’abbazia. In realtà i suoi rapporti con Corazzo
non finirono: si capovolsero! Egli fu considerato per lungo tempo dai
Cistercensi di Corazzo un traditore e
un fuggitivo. Solo al momento della sua morte, nel monastero di san Martino
di Canale a Pietrafitta, il 30 Marzo 1202, al suo capezzale, assieme agli
abati di Sambucina e di Santo Spirito di Palermo, pregava anche l’abate di
Corazzo.
CASTAGNA

Il villaggio Castagna fu il primo insediamento abitativo favorito dalla
presenza dell’abbazia di Corazzo. Esso si sviluppò inizialmente lungo le
rive del Corace ove vennero innalzate le prime capanne dai pastori e dai
contadini che dipendevano dall'abbazia. Col tempo l’iniziale centro abitato
si trasferì sulle pendici della collina che rappresentava l’estrema
propaggine di monte Comunelli e che venne terrazzata per favorire le
colture, proprio a ridosso di una strada chiamata "Via della Marella" che
altro non era che la strada che da Corazzo s’inerpicava verso i boschi della
Sila. Ma essendo l’esposizione geografica diretta a Nord, poco tempo dopo
gli abitanti si trasferirono sul versante meridionale: " La trempa della
castagna". Il suo nome deriva dalla leggenda secondo cui alcuni giovani
porcai del primitivo villaggio in una notte di tempesta trovarono rifugio
nell’enorme tronco cavo di un castagno attorno al quale vennero poi
edificate le prime abitazioni. Il luogo era ricco di querce e castagni e dei
loro frutti, quindi adatto all’allevamento dei maiali, fonte prima di
sopravvivenza. Era, inoltre, tiepido e soleggiato. Agli albori del XIII
secolo, l’Imperatrice Costanza D’Altavilla, moglie di Enrico VI, confermò
all’abbazia di Corazzo le "Grazie" concesse prima di lei da Guglielmo II,
specificando che di tali privilegi avrebbero dovuto godere anche i "Vasallos"
di Scigliano che vivevano attorno a Corazzo: in sostanza i primi "Castagnesi"!
Piano piano il villaggio crebbe e si popolò e i rapporti privilegiati con
l’abbazia di Corazzo permisero una notevole crescita economica tanto che,
già negli elenchi fiscali di Val di Crati dei "Registri Angioini" del 1276,
in base alle gabelle previste venne calcolata la sua popolazione e quella
delle campagne che attorno ad essa orbitavano: 963!. Nella seconda metà del
XVI secolo fu eretta la chiesa per volere del vescovo di Martirano Mariano
Pierbenedetto e che, prima nella zona, divenne parrocchia nel 1612 sotto il
vescovo Francesco Monaco che la consacrò allo Spirito Santo a memoria dell’
ideologia di Gioacchino, abate a Corazzo per dieci anni. La chiesa di
Castagna fu centro d’aggregazione, non solo religiosa, per i numerosi
insediamenti abitativi sparsi nelle campagne intorno, anche per i due
agglomerati relativamente più estesi della zona : Murachi e Panettieri. Il
legame fortissimo e ancestrale che Castagna conservava con l’abbazia di
Corazzo portò, dopo il devastante terremoto del 1638, ad un impegno diretto
della popolazione dell’antico villaggio per la ricostruzione delle mura e
degli edifici e di una volontaria tassazione a favore dei monaci. Nel 1705
fu permessa, anche grazie alla disponibilità del curato di Castagna che
accolse le richieste dei fedeli di Panettieri che si lamentavano di
incontrare troppe difficoltà, specie d’inverno, a recarsi nella chiesa di
Castagna, la nascita della parrocchia a Panettieri, per opera di Monsignor
Richetti che il 20 Ottobre di quell’anno la conferì al sacerdote D.
Francesco Bruni. Castagna per secoli condivise con questo paese il parroco:
tradizione fortissima che anche oggi resiste! Castagna, dopo lo sfaldamento
del feudo di Scigliano subì varie traversie amministrative. Nel 1811 fu
aggregata a Colosimi e nel 1815 a Soveria Mannelli. Con regio decreto nr.
1135 del Settembre 1832 Castagna fu elevata a "Comune" con l’assegnazione
della frazione Colla. Il primo sindaco fu Antonio Arcuri che dovette
affrontare la spinosa questione delle terre di Corazzo sulle quali Castagna
aveva già veduto il riconoscimento dei propri diritti da un’ordinanza di
Gioacchino Murat del 1814. Castagna all’epoca contava milletrecento abitanti
e in base a ciò ebbe una quota di terreni pari a cinquecento trenta ducati
così suddivisi: fondo Granino, fondo Staglicello, fondo Prunillo, fondo
Lettuso. Anche Castagna, nel periodo risorgimentale ebbe personaggi di
rilievo storico, ideologico e militare. Il più famoso fu Raffaele Piccoli,
nato da Bernardo e Maria Antonia Piccoli nel 1819. Egli partecipò a tutti i
moti rivoluzionari della Calabria e dell’Italia: dalle rivolte del 1848 alla
spedizione dei Mille, Dalla difesa di Roma alla disperata rivolta di
Filadelfia del 1870. Alle delusioni e alle amarezze provocate cinicamente
dai governi sabaudi, preferì la morte in una notte d’Agosto del 1880
suicidandosi. In effetti le politiche piemontesi non servirono a migliorare
le condizioni di vita delle popolazioni meridionali già stremate e spremite
dai Borboni. A testimonianza di ciò basti pensare che fino al 1861, anno
dell’Unità, la popolazione di Castagna cresceva sistematicamente, dopo
iniziò a diminuire, come in tutti i paesi vicini! Si sviluppò così, anche a
Castagna il fenomeno del "Brigantaggio" con la presenza di numerosi
fuorilegge che battevano le campagne e vivevano nei boschi. La più nota
banda di Castagna era capeggiata da Angelo De Fazio e "ospitava" spesso
fuorilegge di san Pietro Apostolo e Serrastretta. A Castagna furono due
brigantesse: Rosangela Mazza, le cui gesta furono narrate da Palmira Scalise
nel racconto " La Brigantessa" del 1961, e Generosa Cardamone, "Druda" del
feroce Pietro Bianco e arrestata assieme a lui a Colla il 15 Marzo 1867, ma
poi, liberata dalla galera dopo tre anni di detenzione, tornò a Castagna e
si sposò. I briganti furono quasi tutti uccisi nelle campagne e con inganni
e tradimenti: questo scrisse Carlo Levi: " Le guerre brigantesche furono
combattute senza speranze e senza arte, guerre infelici e destinate sempre
ad essere perdute, ma sorte da una volontà elementare di giustizia che
nasceva dal nero lago del cuore!" L’episodio più crudo che i militari
sabaudi perpetrarono contro i briganti di Castagna avvenne all’ingresso di
una grotta in un luogo chiamato ancor oggi "Ponte dei Briganti": i
fuorilegge, traditi, furono stanati dalla grotta con il fuoco e, mentre i
loro occhi lacrimavano, furono ammazzati a bastonate dai prodi soldati del
re piemontese! Ma il più astuto brigante di Castagna si chiamava Pasquale De
Fazio detto "Cerino". Feroce e imprendibile, ebbe una struggente storia
d’amore con una donna di Castagna, e grazie a lei riuscì a morire in libertà
il 4 Marzo 1910 come "Eremita". Nel 1869, dopo oscure manovre burocratiche
ed economiche dei comuni vicini: Carlopoli e Soveria Mannelli, per decreto
dell’amministrazione provinciale di Catanzaro, il comune di Castagna fu
aggregato a Carlopoli e il suo antico e vasto territorio venne spaccato e
diviso proprio tra Carlopoli e Soveria Mannelli. Le cause vere di questo
accadimento vanno, a mio avviso, ricercate nelle condizioni economiche del
paese, fortemente critiche per l’insolvenza di molti proprietari che non
pagavano le tasse dovute, nella realtà sociale fortemente influenzata dal
brigantaggio e nella leggerezza delle autorità comunali che non compresero
la gravità del momento pur di conservare un posto negli organigrammi del
nuovo comune. I Sindaci di Castagna furono: Antonio Arcuri (1833-1834),
Ferdinando Scalzo (1834-1835), Filippo Scalzo (1836-1839), Giuseppe Guzzi
(1840-1841), Bruno De Fazio (1842-1844), Nicola Guzzi (1845), Giuseppe
Scalise (1846-1848), Annibale Graziano (1848-1851), Francesco Guzzo
(1852-1854), Nicola Guzzo (1855-1857), Antonio Melino (1858-1859), Paolo Le
Porte (1860-1864), Eugenio Sacchi (1865-1869). Oggi è un ridente paesino che
dal colle sembra guardare le rovine di Corazzo dipinte nella valle
sottostante, ma non ha nostalgia del passato, anzi tende a proiettarsi nel
futuro, pur nelle semplici condizioni di vita dei suoi abitanti.
Salvatore Piccoli
Chiunque può farmi avere le foto o alro
materiale che intende pubblicare (in questa sezione) all'indirizzo
ginuzzu@ginopiccoli.com

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Panoramica de a "Manca"

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Pecuraru "Ieri"

Mawasperanza

Notturna "Costa"

castagno

Castagna Sud

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