Personaggi Illustri

Personaggi di rilievo storico e culturale:

 

 

RAFFAELE PICCOLI, nato nel 1819 a Castagna e morto nel 1880 a Catanzaro. Partecipò assiduamente al Risorgimento combattendo nelle rivolte del 1848,fu imprigionato dai Borboni assieme a Settembrini e Spaventa nelle galere di Ventotene e fu esule in Inghilterra con Giuseppe Mazzini, salpò da Quarto con Garibaldi nel 1860. Dopo l’unità rimase coerentemente repubblicano e pagò la sua coerenza con una vita di stenti che alla fine lo costrinse al suicidio la notte del 28 Agosto 1880.

 

 

 

RAFFAELE PICCOLI

Nacque a Castagna nell’Ottobre del 1819 da Bernardo, calzolaio, e da Maria Antonia Piccoli. La sua innata ansia e la sua vivace intelligenza spinsero suo padre a mandarlo “Dai monaci” per studiare. Così passò i primi anni della sua adolescenza nel convento di Scigliano dove studiò le lettere e la filosofia. Ma le voci del mondo in quegli anni bollenti lo chiamarono a dare il suo contributo alla costruzione di una nuova società. Lasciò Scigliano a circa vent’anni e se ne andò per il mondo: Roma, Firenze, Pisa, continuando a studiare. Tornato a Castagna si legò ai gruppi di rivoluzionari e democratici del lametino e dei paesi circostanti. Così nel 1848 partecipò con i volontari di Francesco Stocco all’insurrezione e ai moti dell’Angitola combattendo ancora vestito da diacono. Fallito il tentativo rivoluzionario in Calabria, Raffaele si recò a Roma, dove partecipò attivamente alle sommosse che precedettero la nascita della Repubblica romana e all’assedio del Quirinale successivo all’omicidio di Pellegrino Rossi. Difese poi la stessa repubblica romana dalle truppe papaline e francesi con Giuseppe Garibaldi al Gianicolo e a Villa Corsini. Idealmente si avvicinò al Mazzini, di cui condivise fino in fondo l’idea repubblicana, ma il suo esempio fu Garibaldi di cui ammirò le gesta, il coraggio e la generosità.  Nel 1860 s’imbarcò da Quarto con i mille e fu protagonista dell’epopea garibaldina con il sogno mai scordato di unità d’Italia, di libertà e uguaglianza. Dopo l’Unità, a differenza di molti suoi vecchi amici divenuti deputati del regno, rimase coerentemente repubblicano e lottò per la giustizia e l’uguaglianza divenendo spesso oggetto delle turpi attenzioni degli eserciti piemontesi e di un governo che nulla pareva avesse mutato nei rapporti sociali dai decrepiti modelli borbonici. Così nel 1870, assieme al figlio di Giuseppe Garibaldi, Ricciotti, tentò un’insurrezione repubblicana a Filadelfia che non ebbe successo. Raffaele finì esule a Malta e, rientrato, gli venne revocata la pensione dei mille, unica fonte di sopravvivenza. Oramai tutte le speranze di rinnovamento e di crescita civile attese con la fatidica unità d’Italia erano andate amaramente deluse. Raffaele, come molti altri uomini che avevano combattuto duramente per la libertà, fu dimenticato dai regnanti e dai loro tirapiedi vivendo in miseria gli ultimi anni della vita. Morì suicida a Catanzaro la notte del 27 Agosto 1880.

 

 

 

GIUSEPPE SCALISE, (1881 - 1950). primo esempio di emigrazione intellettuale che a Roma divenne Presidente di sezione del consiglio di Stato e gran “Cordone” dell’ordine mauriziano, oltre che vicerè d’Etiopia! Autore, nel 1905, di una tesi di laurea Sull’Emigrazione della Calabria: documento di eccezionale importanza per capire le dinamiche dei flussi migratori degli ultimi due secoli, ristampata dall’Università di Messina nel 2005. 

 

               

 

 

   PALMIRA SCALISE   

Palmira Fazio Scalise è un’ immagine indelebile nella memoria collettiva di Castagna. Pur nel volgere frenetico e cangiante del tempo, e dei tempi, se una comunità conserva, come Castagna, una compattezza di fondo sul piano sociale e umano, capace di una identificazione, Castagna si riconosce sostanzialmente in due istituzioni: culturalmente e storicamente, oserei dire in due monumenti: Corazzo e la poetessa Palmira. Il suo primo ruolo nel bel loco natìo fu di educatrice. Le sue antiche scolare, tutti i suoi alunni, ne conservano un sacro ricordo. La sua estrema sensibilità e la sua formazione classica ne fanno un’artista di profonda severità poetica, sospinta da un estro segnato da soffi di veggenza.

La cultura è come il sole, disse Palmira:

deve illuminare tutti e una cultura che non è rivolta al prossimo è una cultura già morta.

Palmira  Scalise, nacque a Castagna nel 1894 e morì a Quarto (Na) nel 1984. Autrice delicatissima e prolifica, segnata da profonda devozione alla Madonna e alle mura di Corazzo, che cantò con bellissimi versi nel poema “Il Monastero di Corazzo” , opera  insignita del premio “Europa” a Parigi nel 1971 con la seguente motivazione: “ La potenza dei versi rende immortale questo canto.”  Ma la poetessa scrisse molto altro: il poema           “ Pozzuoli canta: vagabondaggi virgiliani” pubblicato nel 1964. Il saggio giovanile : “D’Annunzio e il suo epico canto” che è un’interpretazione lirica dell’attività poetica del vate di Pescara dal 1912 al 1921. E poi il famoso racconto verità: “La brigantessa” incentrato sulla figura di Rosangela Mazza, drammatica eroina di Castagna. 

United States of  America

Luigi Talarico figlio di emigrante Castagnese  "portavoce del Presidente jonson 1969",

 

Antonio Sacco Utica Stati Uniti foto Jon Meehan)

l figlio di Antonio Sacco e di Maria Grazia Sacco (figlia di un altre Antonio Sacco e di Carmela Graziano --una carlopolesa).
 
Utica era molti di giornali di lingua italiano:  La Luce, Il Penseiro Italiano, La Stella, Il Messaggiero dell'Ordine, ecc.  Erano spesso politici:  di fasciste, di Democratico, di Republicano, ecc. 

foto Jon Meehan)

Sto mettendosi anche in contatto con la gente in Utica circa La Società...  Nick Vatalaro, Betty Timpano Arcuri (la sua famiglia era carlopolesi--Scalzo--moglie del fu Carmen Arcuri). 

SocietaCastagnese11Jan1936

foto Jon Meehan)

 

 

Santa Scalise

DA “Storie dello stupro e delle donne ribelli in calabria”, Enzo Ciconte ed. dell’orso 2001.

 “Certo, non tutte le donne si abbattono o si prostano. Quanto capitò a Castagna nel Maggio del 1871 colpì al punto tale l’immaginazione che fu ricordato da Gabriele Frega, Procuratore del Re di Nicastro, nel suo discorso inaugurale per l’anno giudiziario del 1872. Una donna, che in gioventù aveva seguito le imprese di un locale brigante, dopo la morte del suo uomo si era sposata col rito religioso. Da Allora in poi non diede più a parlare di se. Se non che il prete del paese, “rotto di costumi”, se ne invaghì e cercò in tutti i modi di avere quella donna, nonostante la ex brigantessa l’avesse più volte respinto. Il Prete non si diede per vinto e profittando dell’assenza del marito, scalò le mura, e si introdusse nella casa della donna ch’era a letto. Essa s’accorge: minaccia di gridare aiuto, se non si allontana subito; il prete giura a Dio che deve goderla, e porta la mano alla bocca di Lei per soffocarle la voce. La brigantessa sente svegliarsi gl’istinti feroci, minaccia di ucciderlo se non desiste; il prete risponde a sua volta che avrebbe usato la violenza. E qui una lotta disperata. Nuda l’una; armato di revolver l’altro. Colluttando nell’oscurità, vien fatto alla donna d’impadronirsi di una scure e tale gli assesta un colpo nel capo che lo stramazza. Il prete esplode il revolver è, benché ferito le guadagna la scure; ma la donna, uscita precipitosamente, si presenta dal Sindaco e si fa consegnare ai Reali Carabinieri, confessando il fatto e le circostanze tutte avvenute in sua casa. La povera gente di quel misero villaggio, destata da quei sonni, corre alla casupola e vede, miserando spettacolo, un ministro di Dio immerso nel proprio sangue, con l’arma accanto, la scure insanguinata a terra, tutto lacero e bruttato, proteso sul pavimento, che dava gli ultimi rantoli di morte. (1895, p.,24)

 

        LUIGI SCALISE . Avvocato. figlio di Giuseppe. Già componente del consiglio superiore della magistratura e probiviro del PSI all’epoca della segreteria di Pietro Nenni.

Generosa Cardamone

 

La brigantessa Generosa Cardamone di Angelo e Angela De Fazio, da Castagna.
La brigantessa nacque l’8 novembre 1845.I suoi connotati personali:

Capelli:        castani;

fronte:         media;

naso:           regolare;

occhi:          castani;

bocca:         giusta;

viso:            regolare;

statura:        giusta;

 

Il Fatto

 L’anno 1867 il giorno 20 del mese di settembre la sezione di accusa della Corte di Appello delle Calabrie in Catanzaro processa, insieme a Pietro Bianchi ed altri Generosa Cardamone di Angelo di anni 21 da Castagna.

Le imputazioni a carico sono:

1.     Associazione di malfattori in numero maggiore di cinque con lo scopo di delinquere contro le persone e la proprietà;

2.     Guasto di cosa mobile commesso in banda armata e con aperta violenza, in pregiudizio di Leopoldo Murachi;

L’imputata Cardamone druda del capo comitiva la quale armata al pari degli altri, vestiva da brigante, faceva indubbiamente parte della banda. Negli stessi atti processuali si ribadisce ancora l’accusa di avere fatto parte di un’associazione di malfattori perché “fu ella veduta in abito virile e con armi lunghe da fuoco ed insidiose, seguitare il Bianchi e la sua comitiva, partecipando alle di lui vendette. Viene inviata per essere ancora processata alla Corte di Assise di Cosenza per avere unita ad altri malfattori fatto parte di una banda maggiore di cinque persone che nel 1864 e negli anni posteriori correa armata la campagna allo scopo di delinquere contro le persone e le proprietà.

Viene ordinata a tale scopo pertanto la traduzione della Cardamone nelle carceri giudiziarie di Cosenza.

La Corte di Assise di Cosenza, veduti gli atti a carico della detenuta, condanna il giorno 5 Marzo 1868 Generosa Cardamone a “quattro anni di reclusione a tre di sorveglianza speciale della Pubblica sicurezza, ed alle spese del giudizio a pro dell’erario dello stato.

 

 

Interrogatorio di Generosa Cardamone

 

L’anno 1867, il giorno 30 del mese di Aprile alle ore 9:00 antimeridiane nelle carceri di Catanzaro.

Avanti di noi Giovanni Romeo giudice istruttore presso il Tribunale civile  e Conz.le di Catanzaro assistiti dal Commesso Sig. Daniele Pagano, al quale si è fatto prestare il giuramento prescritto dall’art. 87 Codice di P.P. dietro ordine del capo guardiano è comparsa libera e sciolta da ogni legame la detenuta Generosa Cardamone la quale interrogata sulle generali e a dichiarare se e quali prove abbia essa a proprio discarico, risponde:

Sono Generosa Cardamone di angelo, di anni 18, nubile, contadina, nata e domiciliata in Castagna, non arrestata altra volta , né macchiata.

Interrogata analogamente

Risponde: mi ricordo che nell’estate del 1864 Pietro Bianchi, Raffaele Paonessa, Gesualdo Donato, Giuseppe Russo Critelli, Nicola Chiarella, Giuseppe Gigliotti, Davide Esposito ed Antonio Trapasso uccisero degli animali vaccini del Sig. Leopoldo Muraca da Bianchi. Io però non ero con loro, stante quando essi partirono per fare questa operazione mi lasciarono nella sila con un’altra donna di Carlopoli appartenente al brigante Piro.

A domanda risponde: non mi sono noti i particolari di questo stante non ero presente come ho detto  ma ricordo benissimo che i ripetuti briganti si partirono dalla sila appositamente e ritornati ce lo narrarono.

A domanda risponde: per quanto intesi gli cagionarono questo danno per inimicizia che passava tra Pietro bianchi e Muraca, stante costui più di una volta avea perseguitato i briganti.

Ad altre domande è stata negativa.

Lettura e conferma vi persiste e non sa scrivere e crocesegnare.

 

 Versione dell’accusa

 Il 14 Giugno del 1864 alcuni briganti, comandati da Pietro Bianco, uccisero a colpi di fucile sei animali vaccini di proprietà di Leopoldo Muraca in contrada Ospedale, tenimento di Bianchi producendogli un danno valutato per Lire 1275.

A questa operazione brigantesca prese parte anche Generosa Cardamone. Due pastori, Rosario e Carlo Sacco stavano pascolando dei bovi quando, secondo la testimonianza poi resa da Carlo Sacco, si presentò “il famigerato capo banda Pietro Bianco e la sua Comitiva che si componeva di otto o nove malfattori armati di tutto quanto, e da me voleva sapere dov’erano gli animali vaccini di Don Bernardo Muraca. Io, perché l’ignorava, gli risposi di non saperlo, al chè il Bianco col calcio del fucile mi vibrò dei colpi, ed un altro malfattore del Comune di Cicala che io non conosceva, ma ho saputo dei medesimi malfattori, che si apparteneva a detto Comune, con un coltello lungo mi vibrò con esso un colpo alla nuca del collo, senza ferirmi, perché un altro brigante gli trattenne la mano, e questo poi seppi che era una donna a nome Generosa Cardamone druda del Bianco che vestiva da uomo, ed era armata di fucile.

HELEN BAROLINI

helen barolini biografia

A Castagna nacquero i suoi nonni: Angelo Cardamone e Nicoletta Sacco. Essi emigrarono negli Stati Uniti d’America alla fine del XIX secolo. Ma Helen per quello che ha scritto, per come l’ha scritto, è a tutti gli effetti una castagnese doc. Nel 1991 su “Selezione dei Reader Digest” apparve un suggestivo racconto intitolato: “Italiano lingua del cuore”. Era la struggente testimonianza di come lei, docente universitaria, aveva scoperto le proprie radici nel ricordo di una nonna che: “…era sempre vestita di nero e parlava solo il dialetto del suo paesello Castagna che aveva lasciato a 17 anni per andare in America… “ e che lei bambina andava a spesso a trovare con sua madre a Utica, nello stato di New York. Quando Helen comprese, volle imparare la lingua italiana, che per lei divenne lingua del cuore. Oggi Helen Barolini è una delle massime scrittrici italo–americane a fianco di scrittori come John Fante, Mario Puzo, Gay Talese, Joseph Giuliani, Antonio Porchia: scrittori e poeti di nostalgiche malinconie e di saghe familiari d’emigranti, di storie d’inesorabili addìi. Ella appartiene alla generazione, per così dire, di mezzo degli italo–americani, figli o già nipoti dei primi emigranti poveri, disperati e analfabeti che poveramente vissero ai margini del grande sogno americano, ignorando totalmente anche la lingua e dovettero sudare sangue per conquistare diritti e dignità. I suoi nonni lasciarono castagna quando da noi si moriva ancora di fame: o briganti o emigranti disse qualcuno! Partirono anche loro su quelle che oggi si chiamano carrette del mare e che portano altra gente di altri luoghi, segnata, però dalla stessa, identica, disperazione alla ricerca di sopravvivenza! Helen ha saputo raccontare l’epopea dei suoi avi e di tutta una generazione di “eroi”, attraverso il libro “Umbertina” pubblicato per la prima volta in America nel 1979. Il libro venne ripubblicato nel 1999 dalla “Feminist Press” e fu subito definito un classico non solo per la storia esemplare e per l’appassionata genealogia di donne, ma soprattutto perché l’epopea dell’emigrazione italiana in America fu per la prima volta raccontata tutta al femminile. Nel 2001 “Umbertina” fu tradotto in italiano e pubblicato dalla casa editrice Avagliano di Cava dei Tirreni.

Per saperne di più sulla Barolini           http://helenbarolini.com/events.htm

Gentile Gino Piccoli,

Le invio una notizia recentemente ricevuta da Italia.

Cordiali saluti,

Helen Barolini

 

 

 

--------- Forwarded message ----------

From: "colognesi\.rosa\@libero\.it" <colognesi.rosa@libero.it>

To: "helenbarolini" <helenbarolini@juno.com>

Date: Fri, 15 Aug 2008 23:28:17 +0200

Subject: Fwd:message for Helen Barolini - helenbarolini@juno.com

Message-ID: <K5NVN5$966385BC3135AF2CA0FB37A773B4BE7F@libero.it>

 

Gentilissima Helen,

Le invio il materiale informativo sul Premio di cui dispongo, in italiano

e in inglese. Anzi la pregherei di darne la

maggior diffusione possibile. Può trovare ulteriori informazioni sul sito

www.premioacerbi.com

Cari saluti.

Umbertina, l’opera italoamericana su una pastora calabrese

Dagli studi del Centro è emerso che la Calabria coi suoi borghi e le sue tradizioni è molto rappresentata nella letteratura italoamericana. Sono tanti, infatti, gli americani che discendono dai calabresi emigrati nel nuovo continente. Vissuti che si possono scoprire nelle opere di alcuni autori italoamericani. Una di questi è Helen Barolini, autrice del romanzo Umbertina, pubblicato nel 1979. A fare da protagonista del racconto è la nonna della scrittrice, una pastora originaria di Castagna, frazione della Sila piccola oggi nota per l’Abbazia di Corazzo, che emigrò in America come tanti altri calabresi in cerca di fortuna. «Abbiamo organizzato un tour in vari siti d’interesse culturali calabresi per presentare il testo di Barolini, incentrato sul borgo montano e sul modus vivendi delle genti di Calabria nella prima metà del Novecento». Un’opera di rilievo, dunque, che apre prospettive su dimensioni spazio temporali ormai passate, ma che sono ancora presenti nelle attuali generazioni di italoamericani, trapiantati in culture e società differenti da quelle d’origine.

Si indaga l’identità diasporica degli italiani nel mondo

La missione portata avanti dal Centro, nondimeno, è importante non solo per la sua funzione di recupero, ma anche perché questa avviene proprio mentre si è ancora dentro alla diaspora stessa. Viviamo un momento storico dove l’Italia, e in particolar modo il Sud, è diventata anche terra di arrivi, e secondo la docente Guaneri i problemi attuali legati al fenomeno dell’immigrazione sono gli stessi del passato. «Ci si pone la questione spinosa dell’integrazione e del “cosa resta delle radici?“. Noi cerchiamo di comprendere e recuperare – dice Ganeri – l’identità persa e le differenze culturali degli italoamericani guardando sia alla storia passata che all’Italia multiculturale di oggi. La domanda che ci poniamo e alla quale cerchiamo di rispondere è “cosa vuol dire identità diasporica?”». La scoperta della cultura italoamericana ha rivelato in modo ancor più evidente l’immagine quasi mitologica che gli emigrati di seconda e terza generazione hanno della Calabria. «Molti vorrebbero tornarci – dice la docente – per conoscere meglio i luoghi di una regione ai loro occhi bellissima ricca di tradizioni affascinanti e ancora pregna di autenticità».

SU UNICAL UNIVERSITA' della CALABRIA Cosenza clicca QUI

Per sapere di più sulle premiazioni del materiale inviato

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Abbazia di Corazzo, scenario del primo raduno “zampognari” e visita sulle tracce di “Umbertina”

Abbazia di Corazzo, scenario del primo raduno “zampognari” e visita sulle tracce di “Umbertina”

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ven 23:00
Jon
Jon Meehan
Delle notizie tristi...
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Jon Meehan
Helen Barolini, Chronicler of Italian American Women, Dies at 97
As a novelist, a poet and an editor, she sought to illuminate rarely told stories of her immigrant female forebears in a new land.
Alex Williams
By Alex Williams
April 20, 2023
Helen Barolini, a novelist, essayist and poet who explored the challenges of assimilation, as well as the hard-won victories of feminist emancipation experienced by Italian American women, died on March 29 at her home in Hastings-on-Hudson, N.Y. She was 97.

Her death was confirmed by her daughter Teodolinda Barolini.

A native of Syracuse, N.Y., whose grandparents immigrated from southern Italy in the late 19th century, Ms. Barolini brought their journey, and those of many others, to life in “Umbertina,” her celebrated 1979 historical novel tracing four generations of women in a single Italian American family as they come to terms with their origins and identity in a new land, and with an ever-changing social landscape.

“It is the Madonna of Italian American literature in that it shows the transition from the Italian immigrant to American citizen like no other book of its genre,” Fred Gardaphé, then the director of Italian American studies at SUNY Stony Brook on Long Island and now a professor at the City University of New York, was quoted as saying in an article in The New York Times in 1999, when the book was reissued.

Throughout Ms. Barolini’s career, her work was animated by the belief that Italian American women were underrepresented, not only as subjects in American literature but also as authors, and that as a group they faced what she called a “double erasure, both as Italians and as women,” Teodolinda Barolini said in a phone interview.

Ms. Barolini’s quest to broaden the depictions of her people in popular culture inspired her influential 1985 compilation of short fiction, memoirs and poems.

Committed throughout her life to promoting Italian poetry and literature, she always sought to broaden the depictions of her people in popular culture beyond “Sopranos”-style stereotypes, while giving voice to those previously unheard.

Such beliefs inspired her influential 1985 compilation of short fiction, memoirs and poems, “The Dream Book: An Anthology of Writings by Italian American Women.”

“I think Italian American literature belongs, interestingly enough, not so much in immigrant literature but in the kind of literature that deals with the outsider,” she said in a 1993 interview published in Melus, a journal devoted to multiethnic literature. “Jews have done this, and Blacks have done this; and they have very pronounced figures — very interesting figures that they have created of the isolated person in an alien society.”

“The Blacks, the Jews, the Irish all have their spokesmen,” she added. “Why not the Italians?”

Helen Frances Mollica was born on Nov. 18, 1925, the eldest of three children of Anthony Mollica, the son of Sicilian immigrants and a self-made man who built a thriving fruit importation and distribution business, and Angela (Cardamone) Mollica, the daughter of immigrants from Calabria.

A gifted student throughout her youth, Ms. Barolini graduated with honors from Syracuse University in 1947, and afterward traveled to Italy to study its culture, history and literature. The next year, she met her future husband, the esteemed Italian novelist and poet Antonio Barolini, in Florence.

The couple married in 1950, had three daughters, and spent a decade bouncing between Italy and the United States, where Ms. Barolini earned a master’s degree in library science from Columbia University. She also worked as a translator of Italian literature, including her husband’s short stories, which were published in English in The New Yorker.

In those early years, “I saw my husband as the more important writer,” she told Melus. “It was after I began to get more in touch with myself that I said, ‘Wait a minute, I want to write. I don’t want to just be the carrier of someone else’s voice.’”

Ms. Barolini’s celebrated 1979 novel traced four generations of women in a single Italian American family.

With a grant from the National Endowment for the Arts, Ms. Barolini began work on “Umbertina.” The seed of the idea came on a 1965 trip to Calabria, where she discovered a heart-shaped tin sewing kit like those used by rural Italian women in her grandmother’s day.

Taking the time and setting as a starting point, she meticulously researched the historical conditions of each era portrayed in the book, and infused the narrative with a feminist sensibility owing to Betty Friedan, the author of the landmark 1963 book “The Feminine Mystique,” and others. While outwardly a tale of diaspora, “I still think that ‘Umbertina’ is more a feminist statement,” Ms. Barolini later said.

In addition to her daughter Teodolinda, Ms. Barolini is survived by two other daughters, Nicoletta and Susanna Barolini; a brother, Anthony Mollica Jr.; and five grandchildren.

In later books like “Chiaroscuro: Essays on Identity” and “Their Other Side: Six American Women and the Lure of Italy,” Ms. Barolini returned to the subjects and themes that propelled “Umbertina.”

“Theirs was an epic in American life, and it should be written,” she said in the Melus interview, referring to immigrant women like her forebears, “for they who lived it kept no diaries. But we descendants can write and tell, and it’s time now before the last of them die out.”
Jon
Jon Meehan
https://www.edwardsdowdle.com/obituaries/Helen-Barolini?obId=27638534
Hai inviato
Ciao fratello del web riesco solo a capire per ora che Helen ci ha lasciato mi dispiace moltissimo principalmente perché ha sempre portato avanti le sue tradizioni di castagnise ma sono contento che rimarranno di lei i suoi ricordi attraverso i suoi libri un abbraccio amicu mio
Jon
Un abbraccio a te, caro Ginu' Ci lasciamo un'eredità incredibile.

 

 

 

Il Brigantaggio a Castagna

  La questione del brigantaggio, sopratutto nell’Ancien régime, riguarda tutta l’Europa. Le motivazioni sono sicuramente diverse ma una può essere ritenuta comune per tutto il vecchio continente ed è quella della povertà delle masse contadine sfruttate dal regime feudale e paradossalmente impoverite anche dalla transazione dal feudalesimo al capitalismo che portò anche i demani e i beni della chiesa nelle mani dei ceti proprietari a discapito sempre delle solite masse contadine.

Il fenomeno del brigantaggio ha interessato la Calabria sin dal periodo Romano ma volendo delimitare lo studio di questo fenomeno alla sola età c.d. contemporanea possiamo comunque distinguere tre diversi periodi. Ogni brigantaggio ha una sua storia e quello degli anni francesi non è lo stesso del 1848 che a sua volta non è lo stesso degli anni post-unitari anche se ritroviamo in essi alcune cause simili che ci possono portare a generalizzare. E’ facile per es. ritrovare, in tutti e tre i periodi una causa nella valenza politica dello scontro ma non và dimenticato che nel primo brigantaggio, quello che oppone i meridionali ai francesi negli anni della presenza di Napoleone e Murat, c’è un quid pluris rappresentato dalla estraneità nazionale dei francesi che non ritroviamo negli altri due periodi.

Ancora c'e' chi identifica, soprattutto nei Paesi vicini, Castagna come “Paese di briganti". Innanzi tutto i "briganti" di Castagna, al pari di tutti gli altri briganti calabresi, non erano dei malfattori o banditi come qualcuno vuole insinuare. Erano operai, artigiani, contadini ribelli alla prepotenza ed ai soprusi dello straniero, allo sfruttamento continuo dei lavoratori, alle ingiustizie sociali, alla corruzione, alle dure leggi degli oppressori, al disumano trattamento della gente indifesa. Le tasse sempre più pesanti e le leggi sempre più insopportabili avevano ridotto la popolazione alla fame e alla disperazione, ed ecco il sorgere dei "briganti”.

Nessuno deve meravigliarsi se durante la latitanza dei ribelli, braccati come cani dagli oppressori, si sono verificati degli atti di inconsulta violenza. I contadini calabresi erano ridotti a vivere tra fatiche e debiti per pagare le tasse, per cui non negavano il loro aiuto a coloro che, come i cosiddetti "briganti", avevano il coraggio di ribellarsi alle dure leggi dei tiranni. Infatti, nonostante si ripetevano gli episodi di violenza, la popolazione Calabrese non negò mai l’aiuto alle varie Comitive di briganti dando vita a quell’altro fenomeno, parallelo al “brigantaggio”, definito come “Manutengolismo” anch’esso duramente contrastato dal Governo e che, sicuramente, meriterebbe di essere analizzato meglio dagli storici. Questo legame di solidarietà tra briganti e contadini era particolarmente forte nel nostro Paese sia perché non c’era famiglia che non avesse avuto qualche familiare latitante ma anche per timore delle conseguenze negative che un “tradimento” avrebbe comportato.

Tra questi episodi di vendetta a Castagna ancora si ricorda quello che ebbe come protagonista un certo Mazza: non sappiamo quale fu la sua “colpa”, il suo “tradimento”, sappiamo solo che un giorno fu invitato dalla Comitiva dei briganti Castagnesi a passare un pomeriggio con loro “allu carigliattu” (una montagna vicino al nostro Paese). Il Mazza non era tranquillo, probabilmente perché lui conosceva la sua colpa, ma sapeva che non poteva rifiutare quell’invito. Per evitare ogni tentativo di vendetta da parte della Comitiva portò con se la sorella convinto che questa presenza sarebbe stata sufficiente a bloccare ogni piano di vendetta dei briganti. Per tutto il giorno la Comitiva mangiò e brindò insieme ai suoi ospiti non facendo trapelare niente sopratutto nessuna voglia di vendetta e nessun nervosismo. Venuta la sera il capo banda consigliò alla sorella del Mazza di cominciare ad avviarsi verso il Paese lasciandoli da soli con il fratello che, comunque, l’avrebbe raggiunta presto a casa dopo aver scambiato poche parole con loro. La sorella non percorse neanche 500 metri e dal monte di fronte, all’incirca dove oggi c’è “u ponte do tavuatu”, vide la testa del fratello rotolare giù per la viottola e fermarsi accanto ad una grossa pietra che, ancora oggi, indica il confine della “Uinza do Mazza”.

Per meglio comprendere la reale portata del Manutengolismo a Castagna è sufficiente ricordare che i Reali Carabinieri impegnati nella ricerca dei diversi briganti si raccomandavano, nelle loro circolari, di evitare la ricerca di informazioni nel Comune di Castagna perché “vi sono molti manutengoli”.

Il brigantaggio che interessò Castagna è quello del terzo periodo cioè quello che si sviluppò dopo il 1860 a seguito della caduta del Regno dei Borboni e l’avvento dei Savoia. Questo, però, non significa che nel periodo precedente al 1861 non si verificò nessun episodio di brigantaggio, ma soltanto che le dimensioni che il fenomeno raggiunse nel nostro territorio furono diverse nei vari periodi. Precedentemente al 1861 il brigantaggio, mentre già interessava gravemente altre aree della nostra Regione, fu facilmente contenuto nel nostro territorio grazie al tentativo di attuazione di una riforma agraria (la c.d. quotizzazione demaniale) che, probabilmente involontariamente, agiva sul fenomeno dalla causa ottenendo validi risultati.

Precedenti al 1861 vanno comunque ricordate le avventure di Filippo Graziano, compagno di Giosafatte Talarico, accusato dell’omicidio di un Capo Urbano del Comune di Castagna, ma anche di Carmine De Fazio indiziato in un sequestro di persona in Simeri Crichi. Inoltre dai documenti conservati nell’Archivio di Catanzaro risulta anche un interessante episodio che riguarda l’intero Paese. Nella notte del 18 febbraio del 1860 il Capitano della Reale Gendarmeria Cavalier Sorrentino al comando della propria Compagnia e di 4 forti distaccamenti di Urbani dei Comuni circostanti (Cicala, Panettieri e Carlopoli) assaliva il Comune di Castagna bloccandolo e perquisendo più abitazioni alla ricerca dei briganti Gabriele Rocca e Guglielmo Pantano e dello scorridore Giovambattista Pane. La ricerca fu inutile ed il Capitano non riuscì a trovare nessuno dei briganti perché, almeno secondo quello che si racconta, i tre si erano nascosti in una stanza la cui entrata era stata coperta da… del letame!!!!.

Ma è dopo il 1860 che il fenomeno del brigantaggio esplose veramente nel Comune di Castagna e che ebbe come conseguenza la soppressione dello stesso Comune come “segnale punitivo ad una Comunità inquieta e ribelle”.

Con l'Unità d'Italia, aboliti i decreti a favore del popolo e sciolto d'autorità l'esercito dei volontari meridionali, la disillusione fu grande e la reazione immediata. L'estensione indiscriminata a tutti i ceti sociali del paese del gravoso sistema fiscale piemontese, che non risparmiò neppure le umili dimore, finì con il rendere ancora più penoso il tenore di vita delle popolazioni, già generalmente assai basso. L'introduzione della leva militare obbligatoria, con decreto del 17 febbraio 1861, suscitò una vasta opposizione popolare con renitenze e diserzioni assai diffuse anche se severamente represse, che andavano a ingrossare le fila dei briganti. Tanto più che dovevano prestar servizio militare solo i giovani il cui nome fosse stato estratto a sorte, quindi una procedura facilmente "manipolabile" a favore dei "raccomandati" che penalizzava le famiglie contadine la cui unica ricchezza erano i figli.

Tra gli episodi più importanti và sicuramente ricordato quello che avvenne il 19 Luglio del 1861, giorno in cui una banda di circa 600 briganti capeggiata da Luigi Muraca di Cerva assalì i Comuni di Carlopoli, Castagna (dove rimasero uccise due persone: Maria Arcuri e Angelo Mazza) e Soveria Mannelli, al grido di “Viva Francesco II” ed innalzando la bandiera Borbonica.

All'inizio il brigantaggio non aveva capi, quindi non ordine, non organizzazione, non unità d'azione. Gli emigrati borbonici ritennero opportuno fornire una direzione militare e un chiaro indirizzo legittimista alla spontanea rivolta contadina. Quindi incaricarono della missione Jose Borjes. Borjes si portò a Malta, dove si trovavano molti fuoriusciti borbonici, e il 14 settembre 1861, con soli 17 compagni spagnoli e napoletani, sbarcò in Calabria sul litorale Jonico, riparando subito sull'Aspromonte. A metà settembre del 1861, l'ondata della rivolta contadina stava già rifluendo sotto i colpi della repressione che era stata particolarmente rapida e decisa. Braccato dalle guardie nazionali e dalle truppe, Borjes riuscì a collegarsi con la grossa banda Mittica e a realizzare una difficile collaborazione per l'attacco a Platì, che fu respinto. Abbandonato da Mittica, Borjes riuscì a fuggire grazie alle indicazioni di un inviato del principe di Bisignano che lo indirizzò verso la Basilicata, dove aveva forse sperato dì giungere alla testa di una vasta sollevazione. Nel tragitto verso la Basilicata Borjes passò anche dal nostro territorio, infatti, nel suo diario racconta che da Serrastretta sali verso “Garropoli” dove, dopo aver mangiato una pecora con i suoi compagni, decise di passare la notte. Al mattino, tradito da qualcuno del luogo, dovette fuggire perché inseguito dalla Guardia Nazionale.

I briganti di Castagna agirono sia nelle diverse bande che si erano formate nel nostro territorio ma anche costituendo proprie ed autonome bande.

Alla banda di Pietro Bianco di Bianchi si aggregarono Bruno Gentile, Angelo Antonio Greco, Filippo De Fazio e Pasquale De Fazio alias “Cerino”. Quest’ultimo fu probabilmente il brigante più feroce di Castagna, ferocia che gli era riconosciuta dallo stesso Pietro Bianco, Capo del mandamento, che spesso gli lasciava il comando della sua Comitiva e che gli affidava compiti importanti come quello di tagliare le orecchie dei sequestrati per sollecitare le famiglie a pagare il riscatto

Costituirono, invece, una autonoma banda Angelo De Fazio, Giuseppe Scalise alias “Picardo”, Giuseppe Antonio Mazza, Angelo De Santis, Pasquale Scalzo ed Antonio Mascaro (quest’ultimo di Accaria) che operarono uniti ad una banda di briganti Gimiglianesi capitanata da Gesualdo Donato (cugino di Angelo De Fazio). La banda era comandata da Angelo De Fazio che aveva preferito seguire la carriera brigantesca rispetto a rispondere alla chiamata al servizio di leva. Quella sua scelta fu condizionata sia dalle miserabili condizioni della sua famiglia ma anche dai racconti delle avventure del Brigante Giosafatte Talarico che era nato a pochi Km da Castagna. Probabilmente aveva cominciato ad ascoltare quelle avventure sin dalla sua prima infanzia nelle fredde serate d’inverno accanto al camino. Il giovane brigante si era prima unito alla banda di Pietro Bianco ma, dopo la cattura del Capo mandamento, costituì questa nuova banda. La Comitiva operò nelle campagne attorno al proprio Paese commettendo grassazioni, ricatti, sequestri ed omicidi, come quelli commessi a danno di tre pastori di Carlopoli (ai due dei quali fu addirittura reciso il capo come punizione per aver contribuito alla cattura di un altro brigante) e quelli commessi a danno dei “Tommasoni” di Soveria Mannelli. Nel Novembre del 1868 furono catturati dalla Guardia Nazionale e condotti in Taverna, qui furono consegnati ad una squadriglia di bersaglieri per essere condotti a Rossano ma durante il tragitto, in località “Torre di ponte”, furono fucilati per tentativo di fuga.

Ancora nel 1871 altri due briganti di Castagna, Pietro Greco e Giovanni Cardamone (fratello di Generosa Cardamone, druda di Pietro Bianco), si unirono ad un’altra comitiva brigantesca di Serrastretta grassando la campagna per altri due anni.

Ma a Castagna vi erano anche molte “Brigantesse”; come “la bella” Generosa Cardamone druda di Pietro Bianco, Rosaria Gualtieri druda di Antonio Mascaro e Pietra Le Porte moglie del brigante Filippo De Fazio. Ancora è da ricordare Santa Scalise protagonista di un episodio ricordato da Enzo Ciconte in “Storie dello stupro e delle donne ribelli in calabria” e Rosangela Mazza protagonista della “Brigantessa” di Palmira Fazio Scalise.

            Infine, ma non ultimo per importanza, dobbiamo ricordare anche il Processo per brigantaggio subito dai fratelli Luigi ed Eugenio Sacchi, rispettivamente Prete e Sindaco (l’ultimo) del Comune di Castagna.

Da quanto detto risulta chiaro che alla fine del 1868 non c’era famiglia del Comune di Castagna che non avesse avuto almeno un familiare “alla Macchia”, situazione che si aggravò notevolmente dal coinvolgimento, in un processo per brigantaggio, delle due massime cariche del Paese, cioè il Prete ed il Sindaco. Se a questa situazione aggiungiamo gli “appetiti” dei Comuni vicini, sempre pronti a stare dalle parte dei vincitori, riusciamo facilmente a capire la decisione di sopprimere il Comune di Castagna.

            Nei fatti la soppressione del Comune di Castagna fu sancita da Vittorio Emanuele II con suo Decreto n. 4911 del 21 Marzo del 1869.

 

Le brigantesse

 

Quello delle brigantesse, fu un vero e proprio dramma: dramma della rottura dell’equilibrio familiare, il dramma di madri senza più figli, di ragazze orfane di genitori, di vedove; il dramma di donne disperate che, ribaltando un ruolo di rassegnazione e sudditanza, si dimostrarono capaci di affiancare con coraggio i propri uomini e partecipare attivamente alla rivolta contadina.

Accanto a donne che uccidono senza pietà e che spingono la loro ferocia –come affermano le cronache giornalistiche e giudiziarie dell’epoca- fino ad inzuppare del sangue delle loro vittime il pane che poi addentavano avidamente, vi sono donne che continuano a mandare messaggi d’amore ricamati su fazzoletti o a ricamare per mesi l’immagine dell’amante su una tovaglietta.

Nemmeno sfugge alla dura legge della guerriglia e della latitanza il bisogno di sentirsi pienamente donna, di essere madri.

Sono molti gli esempi di briganti catturati in combattimenti che, ad un più attento esame , si rilevano “brigantesse” in stato di gravidanza. E’ difficile però sostenere che ad indurle alla gravidanza sia solamente il calcolo previdente di una maggiore clemenza dei giudici in caso di arresto e la prospettiva di un trattamento carcerario più umano. E’, semmai, più lecito pensare che le gravidanze siano la dimostrazione della necessità di chi si è dato alla macchia di ricostruirsi una vita normale, anche attraverso i sentimenti più naturali.

Gravida la momento della cattura era anche la nostra bella Generosa Cardamone amante di Pietro Bianco di Bianchi.

Per le brigantesse catturate si aprono le vie del carcere. La legislazione dell’epoca non prevedeva condanne differenziate per i due sessi ma l’orientamento dei giudici appare quello di comminare condanne più lievi alle donne, anche in considerazione del fatto che quasi mai è possibile processualmente accertare la volontarietà nella scelta di delinquere. Normalmente la pena inflitta si aggira sui quindici anni di carcere, spesso in parte condonati. Si tratta però di una condanna solo in apparenza più lieve.

Infatti le condizioni di vita all’interno dei vecchi bagni penali borbonici, trasformati in carceri del Regno d’Italia sono pessime: il rancio è appena sufficiente a sopravvivere, le condizioni igienico-sanitarie sono impossibili. Costrette ad una vita di stenti, a continui spostamenti, a marce forzate le “Brigantesse” accusano (più dei loro uomini) il peso dei disagi fisici e quando vengono catturate mostrano i segni della debilitazione. La mancanza di igiene (per coprirsi spesso indossano gli abiti sporchi dei nemici uccisi in combattimento) produce infezione che, poco o niente curate in carcere, le portano ad una morte prematura.

Il dramma delle donne del brigantaggio si consuma nell’indifferenza, quando non nel disprezzo, e nel silenzio dell’opinione pubblica. Gli atti ufficiali dei Carabinieri Reali, quelli delle Prefetture, i fascicoli processuali le accomunano tutte ai loro uomini, non attribuendo mai alle donne del brigantaggio in ruolo di soggetto sociale autonomo.

Le cronache giornalistiche e gli scrittori coevi le descrivono solo come manutengole, amanti, concubine, “ganze”, “drude”, donne di piacere dei briganti. Ciò ha impedito di prendere in considerazione il fenomeno e non ha consentito uno studio più approfondito sui risvolti sociali e politici della rivolta delle donne meridionali.

Delle “Brigantesse” restano oggi solamente le poche foto che la propaganda di Regime ha voluto tramandare per una distorta lettura iconografica del brigantaggio. Così, accanto a “brigantesse” che si sono fatte ritrarre –armi in pugno- vi sono le foto ufficiali dopo la cattura e, talora, dopo la morte in una postura innaturale.

Come i loro uomini, trucidati e frettolosamente rivestiti, legati ad un palo o ad una sedia, gli occhi rigidamente spalancati, con in mano i loro fucili e circondati dai loro giustizieri. Macabro trofeo di una guerra civile occulta.

Brano Fornito da Valentino Romano

 

 

 

 

 

L’ABATE GIOACCHINO

 Pur non essendo nato a Castagna, noi eleggiamo a castagnese onorario l’abate Gioacchino, oggi in odore di santità, per i dieci anni vissuti da Abate a Corazzo. Furono questi i dieci anni forse più fruttuosi dal punto di vista teologico e filosofico durante i quali maturò quello spirito mistico che ne fece uno dei più grandi pensatori del Medioevo e uno dei più profondi esegeti. Questo scrisse Luca Campano, il suo maggiore biografo: “ …L’ho visto in ginocchio con le mani  a terra e gli occhi rivolti al cielo in colloquio ardente col Cristo come se lo mirasse faccia a faccia: a Corazzo spazzava personalmente tutta l’infermeria, il soffitto prima, poi le pareti e il pavimento e infine i ripostigli più nascosti..." Nell'abbazia di corazzo Gioacchino Elaborò la stesura contemporanea delle sue tre opere maggiori “Esposizione dell’Apocalisse”, “Concordia del nuovo e del vecchio testamento” “ Salterio delle dieci corde”, dettando giorno e notte a tre alacri amanuensi: Luca, Nicola e Giovanni.

Gli anni di Corazzo furono gli anni più intensi e proficui per la sua speculazione filosofica e spirituale che videro nascere un’organizzazione di pensiero mistico e sociale dai riflessi profetici. L’opera complessiva di Gioacchino appare come l’immenso disegno di comprendere la Trinità come misura di tutte le cose. Così la trinità di Dio si manifestava nel tempo: età del Padre, età del Figlio, età dello Spirito Santo: era questa un’epoca futura in cui sarebbe finita la chiesa legata al potere temporale cosicchè i pontefici, liberi finalmente da preoccupazioni di dominio politico o economico potranno ridare alla chiesa il vero ruolo di potere morale e di guida spirituale e gli uomini si eleveranno a Dio abbandonando l’interesse dei beni materiali in nome della uguaglianza e della fraternità.

E c’è un’altra cosa che fa di Gioacchino un castagnese: la nostra chiesa. Essa è dedicata allo Spirito Santo proprio in omaggio alla spiritualità e ai sogni di Gioachino che profetizzò l’età dello Spirito Santo come la terza età dell’umanità, quella in cui non ci saranno più ingiustizie e si vivrà nella grazia.

 

 

Piccola Storia di persone castagnesi in Stati Uniti

Il figlio di Carmen Arcuri e Betty Timpano Arcuri, Michael Arcuri, è stato scelto al congresso degli Stati Uniti in 2006!  Il primo castagnese sul congress

http://arcuri.house.gov/index.shtml

Dear Mr. Piccoli.
 
My name is Elizabeth Timpano Arcuri and I live in Utica, New York, USA.  I have received information on your web site from John Meehan of North Adams, Massachussetts, whose mother's family (the Cardamone's) came from Castagna.
 
My husband's family (the Arcuri's) also came from Castagna.  His father's name was Michael and he was born in America but raised in Castagna by his grandfather Bruno Arcuri.  My husand's grandfather's name was Ferdinand Arcuri and his grandmother's name was Rose Scalzo.  On his mother's side her father's name waws Bruno Piccoli and his grandmother's name was Domenica Nicotera.  Maybe you can find some common relatives with this information, since you mentioned your wife is an Arcuri.
 
My son is Michael Arcuri, and he is a member of the United States Congress,  and I believe he is the first Castagnese to serve as a Congressman. I know you have some information on him
 
My father, Dominic Timpano was born in Serra San Bruno, where we have many relatives.  His father's name was Luigi Timpano, and his mother'sr name was Elisabetta Scaramuzzino.  My mother was born in America.  Her father's name was Salvatore Scalzo and her mother's name was Francesca Maria DiPaolo.
 
My husband and I visited both places in 1983 and just loved it.  I went back in 2000, but got as far as Tropea and never made it to Serra San Bruno.
 
I hope you can have someone translate this, and I look forward to hearing from you in the future.
 
Regards,
 
Betty Arcuri

Maestra 

Maria Costanza Villella Scalise (Educatrice  e madre di popolo)1853 -1929

 

 

Gentile Gino,

grazie mille per le belle fotografie di Castagna che sono arrivate oggi. Sono molto contenta di averle.

Cordiali saluti,

Helen Barolini

Raffalele Piccoli "Ufficiale Garibaldino"

 

 

 

Don Raffaele Arcuri in una foto di fine 800

Sempre per restare nell'ambito delle tradizioni ecco il testo di una preghiera in dialetto castagnese. La recitava ogni sera mio nonno prima di andare a dormire. L'aveva imparata da un suo zio sacerdote, Raffaele Arcuri, "Zu Priavite" (1853 - 1929), lo stesso che fece costruire la Gghiesuella alla Venova agli inizi del secolo scorso. Era un affidarsi a Dio durante la notte.

"Io me curcu e m'addormisciu
Dugnu u'anima a Gesù Cristu

A Gesù Cristu e a tutti i santi
E all'angiui tutti quanti.

O Angiuicchi mie
Siti veri cumpagni mie
Accumpagnatime stanotte

Mu un muaru e maua morte
Nne a cantu nne a via
Nne all'ura da morte mia.

Jessu, Madonna cchi cciaiu allu cantu
Cciaiu nu mazzu e cunsuamentu
Quandu se iza llu Cauice Santu
Gesù Santissimu Sacramentu.

 

 

 

                                 Ricerche sui dati di Salvatore e Gino Piccoli

 

Chiunque può farmi avere le foto o altro materiale che intende pubblicare (in questa sezione)  all'indirizzo ginuzzu@ginopiccoli.com

                                

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